È accaduto come accadono solo alcune albe: d’improvviso, dopo notti che sembravano eterne. Gli Oasis sono tornati. Non un’eco, non un’imitazione, non una fotografia sbiadita. I Gallagher sono nuovamente carne, sangue, ruggito. Liam e Noel, fratelli, nemici, emblemi di un’epoca e superstiti di se stessi, sono risaliti sul palco. Insieme. Eroi epici usciti da un lungo esilio interiore e mediatico. Il mondo, per un istante, ha deciso di sospendersi, di inchinarsi all’unica potenza che ancora può piegarlo: la musica.

"We’re not arrogant, we just believe we’re the best band in the world."
Nel pantheon del rock britannico, quando Londra sognava e Manchester urlava, i fratelli Gallagher occupavano un altare tumultuoso, costellato di liti, inni generazionali e pose larger than life. Erano gli anni 90’ e l’Inghilterra, orfana di ideologie, cercava nuovi idoli. La risposta fu una chitarra distorta e una melodia da stadio: Live Forever, Don’t Look Back in Anger, Champagne Supernova. Parole come mantra post-rave, inni di una working class sollevata all’empireo del pop.
Ma il tempo e la fama non risparmiano nessuno, e anche il cielo di Manchester si rannuvolò. Due eccentrici senza filtri: da una parte Noel, autore dei testi, figura lucida e provocatoria. In un’intervista post-concerto gli chiesero:
“Sei felice di ciò che avete raggiunto?” La risposta fu emblematica: “Sono parte della miglior band del mondo, ho praticamente tutto. Sono felice di ciò? NO, I WANT MOREE!”
Dall’altra Liam, incarnazione sfacciata del mancuniano puro, protagonista indiscusso di scandali e vicende senza freni, colui che nello sventurato 23 agosto 1996 si rifiutò di cantare all’MTV Unplugged destinato a entrare nella storia. Noel prima del concerto giustificò l’assenza del fratello:
“Liam ain’t gonna be with us ’cause he’s got a sore throat, so you’re stuck with the ugly four.”

Liam osservava la scena dalla platea, deridendo il fratello sul palco. A fine show, Noel fu più diretto: il vero motivo era che Liam era sbronzo, absolutely shitfaced.
Passavano gli anni e la parabola discendente dei Gallagher sembrava inesorabile, segnata da rancori granitici e dichiarazioni incendiarie. Frasi taglienti come lamette, silenzi densi come piombo. Nel 2009 l’ufficialità della separazione. Entrambi volevano proseguire da soli – e lo fecero, con successo – ma la loro assenza divenne una presenza costante, rumorosa, quasi mitologica.
"People ask me if Oasis will ever get back together. I say: Not while I’m breathing'."
I dischi restavano, ma il mito sembrava dissolversi come fumo sul parabrezza. Noel, il lucido architetto. Liam, l’anima brada. Due poli che si respingevano a ogni intervista, due linee parallele condannate a non incontrarsi mai più.
"You’re not Oasis without me, you’re just a tribute band."
E poi, 2024. L’impossibile. L’annuncio.

Una data oro su sfondo nero, spalle al cielo, occhi pieni di vento. Nessuna redenzione pubblica, nessuna stretta di mano da prima pagina. Solo una decisione secca, quasi brutale – com’è nel loro stile. Come se ci fosse un’urgenza primitiva di tornare a vibrare. Una reincarnazione per la folla: quella stessa folla che vent’anni fa sventolava accendini a Knebworth, oggi canta ancora allo stesso modo. Ha risposto a un richiamo antico, quasi ancestrale. Questo luglio è iniziato il tour - Cardiff, Dublino, Edimburgo, Londra, Manchester; i figli del secolo tornano a casa.
"Oasis is like a Ferrari: great to look at, great to drive, and it’ll f*ing kill you."
È qualcosa di più denso della nostalgia. È il risveglio di una lingua dimenticata, l’odore di una stanza rimasta troppo a lungo chiusa. È una ferita che finalmente canta. Voci raccontano che mamma Peggy abbia avuto un ruolo chiave nella reunion. Nessuna madre vuole vedere i propri figli in guerra. Grazie, Peggy.
Il ritorno degli Oasis è un cortocircuito culturale. È il riflesso di un’epoca che fruga tra le ceneri del passato alla ricerca di un senso, di un linguaggio, di un’identità. Risuonano ancora oggi, nel cuore dell’algoritmo e dell’effimero digitale, le parole graffiate dalla voce di Liam:

“You and I are gonna live forever.”
È una promessa? Un’illusione? No, i Gallagher ci credono per davvero. In un tempo dove tutto passa, gli Oasis – con la loro testardaggine iconica – tornano a ricordarci che esistono canzoni che non finiscono mai, che esistono fratture che si possono ricucire solo sul palco, davanti a migliaia di sconosciuti che conoscono ogni parola. Come in una liturgia laica, la band ha riacceso la fiamma del britpop come resurrezione.
Forse non durerà. Forse litigheranno di nuovo, con la stessa ferocia di un tempo. Ma va bene così. Sono gli Oasis. Li amiamo perchè sono questi.

E allora godiamoceli, due comete stropicciate, ubriache, sfacciate. Due voci che ancora si graffiano, tra loro – ma che, per un po’, lo faranno nuovamente insieme. In coro, contro il passato.
Gli Oasis sono tornati. Ma forse, in fondo, non se ne erano mai andati.