Dopo anni di silenzio e mistero, I Cani tornano a far sentire la loro voce – o meglio, il loro fantasma – con Post Mortem, un disco che sembra più una seduta spiritica che un semplice ritorno discografico. Pubblicato a sorpresa il 10 aprile 2025, l’album arriva come un sussurro dal passato, ma con lo sguardo fisso sul presente più disilluso.

Tredici tracce che scavano tra le rovine dell’identità, dell’amore e dell’epoca post-tutto in cui viviamo. Il suono è più asciutto, meno ironico ma più feroce, come se Niccolò Contessa avesse deciso di scrivere il testamento di una generazione senza mai pronunciare la parola “fine”. I momenti strumentali si mescolano a testi taglienti e malinconici, in un equilibrio precario tra poesia urbana e confessione privata. C'è chi aspettava un ritorno nostalgico, ma Post Mortem è tutt’altro:
è un disco che non consola, che non cerca di piacere, che non vuole essere spiegato. È un'opera che ti guarda storto e ti lascia solo, come fa il mondo vero.

Nel cuore di Post Mortem, la traccia "colpevole" si staglia come un monologo interiore sussurrato con i pugni in tasca e gli occhi bassi. È una confessione che non cerca assoluzioni, ma solo di farsi ascoltare, magari da chi si sente allo stesso modo.
Il testo è crudo, diretto, ma mai urlato. Contessa mette a nudo la sensazione di essere inadeguati al proprio tempo, di sentirsi sempre “fuori fase”, eppure sempre in debito. Con chi? Con tutto: con i genitori, con gli amici, con se stessi. Il ritornello – una ripetizione quasi ossessiva del titolo – è come un mantra colpevolizzante che rimbalza nella testa.
Musicalmente, la produzione è minimale ma chirurgica.

Un synth freddo pulsa come un cuore sotto stress, mentre un beat lento accompagna l’andamento stanco del pezzo. Non ci sono esplosioni né climax: tutto resta sospeso, come se anche la musica si vergognasse di esistere troppo.
"colpevole" è lo specchio di una generazione che ha smesso di chiedere scusa, ma non riesce a smettere di sentirsi in colpa. Una canzone che non redime, ma riconosce: “sì, anche tu ti senti così”.
Noi tutti siamo colpevoli