Black Swan

Recensione

di Nicolò Silverii

Perfetto. Black Swanè un film perfetto, su questo c’è poco da dire. Per la trama, la sceneggiatura, il casting (eccezionale), la recitazione, la regia... Di difetti, formalmente parlando, non se ne trovano. Eppure, nonostante la perfezione tenda a non essere commentabile, qualcosa da dire c’è.

La situazione è estremamente complicata e sembra livellarsi su tre piani: pare che il film, raccontando la storia di una giovane che lotta con sé stessa, basandosi sulla leggenda di una ragazza costretta nel corpo di un cigno bianco, sconfitta dal suo alter-ego (nero), si faccia strattonare a sua volta da tendenze liberali, da una parte, e conservative dall’altra, mostrandosi in tutto il suo confusissimo splendore.

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Aronofsky si affida di frequente alla tecnica della macchina a mano, in modo particolare nelle sequenze di ballo o comunque quando c’è del movimento da seguire, ed è una scelta assolutamente azzeccata e che paga i dividendi, consegnando allo spettatore riprese emotive che tendono a coinvolgerlo ulteriormente, oltre a quanto non faccia già la narrazione. Un segno stilistico, questo, se non unico, almeno raro. Inoltre, il regista americano trova continuamente soluzioni alternative e spettacolari, come ad esempio gli “schiaffi” in soggettiva durante le piroette di Nina (un’incredibile Natalie Portman che ha vinto l’oscar per quest’interpretazione), che avrebbero fatto esclamare a Guido Meda il suo proverbiale “Tutti in piedi sul divano!”

Nonostante questo, il film tende a lasciare l’amaro in bocca. Genialità improvvise lo rendono uno spettacolo per i sensi, tuttavia la poca coerenza stilistica (tratto degno di nota a mio avviso, ma comunque confusionario) preclude quasi del tutto la chiarezza espositiva. Tanti messaggi, a volte subliminali, che però tendono a perdersi nella loro complessità, a lottare tra di loro, a confondersi in sé stessi appunto, prima di arrivare allo spettatore, il quale rimane stordito dalla densità semantica delle metafore utilizzate.

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È quasi come se, seguendo inconsciamente le orme della sua protagonista, l’opera cercasse di essere perfetta a tutti i costi e, alla fine, ci riesca. Allo stesso modo di Nina, però, che paga la perfezione con la morte, il film è costretto a raggiungere l’impeccabilità soltanto a costo di essere meno credibile di quanto potesse essere veramente. Tecnicamente precisissimo, soprattutto a livello di struttura, perde di imprevedibilità. Oniricamente imprevedibile, perde di precisione, talché il finale aperto è tanto bello e suggestivo quanto privo di significato. Per quanto sia stimolante oscillare tra la realtà e la fantasia, è inevitabile che a un certo punto si debba scegliere una delle due strade da percorrere, altrimenti si rischia di essere interessanti sì, ma anche vuoti.

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A parte questo, il film è stupendo e non si può far altro che consigliarne la visione a chi ha la fortuna di non averlo ancora guardato. È coinvolgente, è potente, a tratti pure poetico, ma soprattutto riesce a rimanere delicato anche nella sua ruvidezza. Ed è proprio questa la miglior caratteristica di Aronofsky: solo lui sa accarezzare così dolcemente lo spettatore, rendendolo così leggero, mentre lo prende a pugni sulla bocca dello stomaco a forza di pesantezza. Quest'opera è il suo testamento, come ha scritto un mio caro amico su Letterbox, è la sua firma; ma, a mio modo di vedere, è anche la sua condanna. Quest'opera è la sua protagonista, Nina: è interprete del bene e del male in un sol momento. Una bellissima pazzia.


Nicolò Silverii